Quando mi è stato chiesto di scrivere come era cambiata la mia vita a seguito dell’insufficienza renale, del modo di vivere con le cure del caso, del successivo trapianto e del dopo, ho cercato di fare un breve riassunto, più sul modo di come ho vissuto questa situazione che della malattia stessa.
Ho cercato di scrivere qualcosa che potesse esprimere il mio stato, in modo che possa servire anche ad altre persone che si trovano nella stessa situazione.
Voglio parlare delle conseguenze e dei cambiamenti nella vita quotidiana e nei miei pensieri, di come avrei accettato l’ipotesi non tanto remota di dovermi sottoporre a dialisi con tutte le limitazioni del caso e di come sarebbe stato il mio modo di vivere, le cose che forse non avrei più potuto fare o solo in parte.
Ho sempre vissuto una vita piena di impegni lavorativi, di viaggi, di sport e di musica ed il solo pensiero di essere “non più libero” mi portava una certa angoscia di come avrei reagito e come mi sarei posto nei confronti degli altri.
Non l’ho mai dato a vedere, ho sempre cercato di essere io a tranquillizzare parenti ed amici, cercando di comportarmi come al solito.
Con le medicine avevamo una situazione di contenimento del valore della creatinina, che mi permetteva di non dover andare per il momento in dialisi, ero abbastanza libero di vivere come prima.
Ma c’era sempre quel dubbio che ritornava in mente, quanto sarebbe durata questa situazione?
Mentre ero in cura a Biella, mi venne prospettato dal Dott. Berto l’ipotesi di trapianto, di mettermi in lista.
Certo, era una speranza, avrei potuto gestire meglio la situazione, ma quanto avrei dovuto attendere?
Sarebbe arrivato prima di finire in Dialisi?
Il Dott. Berto propose la possibilità di farlo da vivente, con un donatore: l’unico che veniva in mente era mio figlio, Io ho subito detto che non avrei mai chiesto a mio figlio, data la giovane età e per il fatto che avesse già famiglia, e perciò, ritenevo già un grosso regalo il poter avere il rene di un donatore mettendomi in lista, vivendo nella speranza di averlo prima del crollo.
Ma con mia sorpresa, il Dott. Berto propose la possibilità di trapianto da non compatibile.
Questo, certo, aumentava le possibilità, ma onestamente non pensavo a quanto stava per dire.
Poi si rivolse a mia moglie, chiedendo se se la sentiva, naturalmente previo tutti gli esami necessari per verificare l’idoneità!
Subito non ero dell’idea, in quanto non volevo che una persona non compatibile si sentisse obbligata, e ho cercato di dissuaderla o di pensarci bene, ma lei chiese tutte le informazioni al Dott. Berto e voleva fare questo passo per permettermi di non dover attendere e peggiorare la situazione e poter vivere insieme una vita più normale.
Certo da una parte vedevo una porta aprirsi, ma c’era una catenella che avevo messo io, affinché non si spalancasse.
Devo dire che nella mia vita ho sempre cercato, nel limite delle possibilità, di essere di aiuto alle persone, e ora mi trovavo ad essere io una di quelle persone, che aveva bisogno di un aiuto, la decisione di mia moglie è stato un grande gesto d’amore, di cui sarò sempre riconoscente.
Sostenuto tutti gli innumerevoli esami, venne il giorno del ricovero a Parma e la preparazione specifica da “non compatibile”.
Durante la settimana a Parma, da una parte ero felice per la possibilità di poter vivere senza l’assillo della dialisi e la possibilità di una vita che mi permettesse di continuare quasi come prima.
Dall’altra, la paura: “e se non va bene?”, “e se avviene il rigetto?”, e mia moglie, “come starà dopo l’intervento”?
Tutti pensieri che chiunque avrebbe avuto.
Ricordo che mi sono presentato in sala operatoria e mia moglie era in quella accanto già espiantata, poi l’anestesia, fece il resto e non ebbi più pensieri.
Al risveglio, il primo pensiero fu per mia moglie, se tutto era ok.
All’inizio, naturalmente ci sono state la fasi di recupero, ma ogni giorno era un passo verso la ripresa.
Vedevo mia moglie che stava bene e questo mi aiutava.
Il tornare quasi alla vita di prima, la famiglia, gli amici, il lavoro e gli impegni, erano cose che mi aiutavano a “ritornare” e ad avere più tranquillità, e capivo quanto ero stato fortunato.
Avevo avuto il regalo di un organo, mi è stata data un’altra possibilità di vivere meglio.
Devo naturalmente ringraziare anche tutto il personale di Biella e Parma, per loro avrò sempre un grazie, che continua anche oggi quando con competenza e dedizione continuano a seguirmi e controllarmi.
Passava il tempo e solo dopo alcuni mesi, mi sono ricordato che da giovane, alle scuole superiori, mi ero iscritto, come altri miei compagni, alla sezione dell’AIDO, certo lo ritenevo una cosa valida, ma mai avrei pensato di viverlo di persona dopo tanti anni.
La mia esperienza, come quelli di tanti altri trapiantati, deve essere ascoltata, diventare un ausilio alla scienza, deve servire ad accrescere il desiderio di donazione nelle persone, soprattutto nei giovani. Deve diventare un aiuto, parlandone, spiegando, ma su tutto, ascoltando i timori e le riserve e dando fiducia a chi ne ha bisogno.
La vita non sempre finisce con una malattia.