Arrivi a un punto che non ne puoi più. La fame d’aria non ti abbandona giorno e notte.
Ti alzi al mattino dopo aver passato la notte a tossire e a espettorare con un gran mal di testa per i livelli di anidride carbonica troppo alti nel tuo corpo.
Inizi le terapie giornaliere che occupano la gran parte della giornata: pastiglie per bocca, aerosol antibiotici (a volte anche per endovena), fisioterapia, ossigenoterapia e respiratore, ma il loro beneficio non si sente più. Provi a fare un bel sospiro e nulla… Questi due polmoni sono rigidi, pieni d’infezione, non si espandono più.
“Vorrei strapparmeli” ecco cosa pensavo: “vorrei togliermi questi due blocchi che non mi permettono di fare più nulla”. Tutta la vita è in salita sempre col fiatone, anche ridere con i miei colleghi è diventato impossibile, perché non c’è più abbastanza fiato neppure per quello, e la risata si trasforma in una crisi di tosse.
Il trapianto di polmoni: l’unica possibilità.
Entri in lista dopo un iter di esami pesantissimo per le condizioni in cui ci si ritrova, e aspetti… Aspetti un momento che non sai se riuscirai a vivere visto le condizioni in cui sei, ma che desideri tanto per poter “forse” stare un po’ meglio.
È tutta un incognita, ma c’è una cosa certa, che mi tortura e mi fa scoppiare la testa: sto aspettando che qualcuno se ne vada e mi doni una parte di se per continuare a vivere. Questo pensiero non mi abbandona mai e ridimensiona la gran voglia di essere trapiantata che ho.
…Ed ecco che ti risvegli, intubata, non puoi chiedere, non puoi parlare, ma senti che hai già la forza di gestire il respiro nonostante il macchinario ti aiuti. Alzo le mani e le mie unghie prima viola/blu sono tornate rosa. “Molto bene” penso tra me, e così, nel giro di sole 24 ore, sono estubata, respiro da sola e sono già in piedi: a dir poco fantastico.
Ma un’affermazione mi viene spontanea quando vedo il mio papà… “non mi sento più io”. Preoccupato si rivolge al rianimatore chiedendo informazioni e gli viene detto che è un affermazione fatta da tanti trapiantati.
Da allora sono passati 13 anni… 13 anni di me e lui/lei (chissà?).
Sono riuscita a togliermi quelle due spugne che non sopportavo più e passati i primi giorni in cui avevo dei forti crolli emotivi, perché sapevo che c’era qualcuno che soffriva per la perdita di una persona cara, ho iniziato a riprendere in mano la mia vita col mio donatore, a pensare che non ero mai sola che lui/lei erano in me e che ogni tanto fanno sentire la loro presenza.
La definiscono memoria cellulare, ossia un bagaglio emotivo, mentale, caratteriale della persona a cui apparteneva l’organo.
Qualche mese dopo il trapianto mi ritrovai non solo ad ascoltare, ma anche a canticchiare le canzoni di un artista italiano da me sempre disprezzato, addirittura schifato. Col passare del tempo andai a diversi suoi concerti addirittura, non solo… Se prima del trapianto ero salita sulla torre Eiffel senza alcun problema ora non riesco più a sopportare il vuoto sotto di me.
L’esperienza del trapianto, per quanto sia dura, difficile e dolorosa è l’esperienza più bella che si possa vivere. Sei su un precipizio e grazie all’altruismo di qualcuno riesci a rivivere, anzi, nel mio caso, inizi a vivere un esistenza normale, che non hai mai conosciuto prima.
Il trapianto nei suoi momenti prima e dopo ti fa provare emozioni e sensazioni che diversamente non saresti mai riuscito ad immaginare, ti rende una persona “diversa” dalla generalità perché “tu non sei più tu… Tu sei molto di più”.