Ti chiederemmo di raccontarci come meglio credi la tua personale storia, l’esperienza che hai vissuto come persona malata e poi la tua esperienza di persona che ha subito un trapianto… puoi raccontarci tutto quello che vuoi, come ti senti, nel modo che più di va, noi non ti interromperemo.

Io ho vissuto una vita normale fino ai 33 anni. Andavo a lavoro, avevo una vita sociale fatta di passioni, hobby, passeggiate. Io sono una persona che gli spazi aperti e ogni volta che potevo andavo in montagna a camminare, incontravo persone, perché mi piace, nel limite del possibile, vivere la mia vita in libertà. Sono inoltre appassionata di cinema, di teatro. Diciamo che mi piace uscire con gli amici, mangiare una pizza, uscire per fare aperitivo… insomma, tutte le cose che adesso non si possono fare, per cui ne risento tantissimo. Il mio lavoro mi piace e lavoravo come commessa già all’epoca.

Non avevo mai avuto problemi particolari di salute, poi improvvisamente, nell’inverno del 1999, ho avuto un’influenza, è una cosa normale. Avendo 32/33 anni non avevo neanche mai pensato di farmi il vaccino. Purtroppo questa influenza era particolarmente forte e mi ha lasciata veramente spossata e debilitata, però pensavo che mi sarebbero bastati dei semplici ricostituenti per tornare in forma. Improvvisamente, però, invece di guarire, quando la febbre è passata ho iniziato a sentirmi debole, ad avere dei problemi che però sul momento, non avendo mai avuto problemi cardiaci, non avevo assolutamente collegato al cuore. Mi sentivo mancare, mi sentivo svenire, ero debole come non lo ero mai stata, in un modo veramente strano. Mi guardavo allo specchio e mi vedevo le occhiaie, mi vedevo a pezzi, era davvero tutto molto strano, tant’è che anche il mio medico ed i miei famigliari erano perplessi.

Il momento peggiore era la notte, quando arrivava la sera ricordo che mi sentivo veramente mancare, nel senso che non avevo forza, non riuscivo a respirare. Quello è stato veramente terribile.

Sono andata al pronto soccorso per due volte ed entrambe le volte mi hanno fatto l’elettrocardiogramma, dal quale però non è mai emerso nulla per cui mi hanno sempre rimandata a casa dicendomi che ero debole per l’influenza, di non preoccuparmi, che non avendo mai avuto problemi particolari sicuramento ero sana e si trattava solo di una forma virale. A fronte di tutto ciò io ero relativamente tranquilla, perché è vero che non riuscivo a respirare, ma erano loro i medici, per cui ero tranquilla, finché non ho passato una notte davvero difficile.

Non so come abbia fatto a sopravvivere a quella notte. In qualche modo sono arrivata alla mattina. A quel punto mio marito ha chiamato il nostro medico di famiglia che è venuto a visitarmi a casa. Quando mi ha provato la pressione ha semplicemente detto a mio marito di non chiamare neanche l’ambulanza e di portarmi subito all’ospedale. In seguito ci ha poi detto che non riusciva a rilevarmi la pressione e che sostanzialmente avevo avuto dei collassi per cui la situazione era davvero pericolosa.

Il mio medico aveva già avvertito il responsabile del pronto soccorso del fatto che stessi arrivando e che ero praticamente in fin di vita, infatti non appena sono arrivata ho trovato tutto lo staff pronto ad accogliermi. Devo dire che questa cosa sul momento mi ha dato un grande sollievo, perché mi sembrava che finalmente qualcuno mi credesse e che finalmente avrei scoperto cosa avessi.

Da quel momento in poi però io ho perso conoscenza. Ricordo che mi hanno messo un sondino nel naso e che poi mi sono risvegliata 8 giorni dopo in rianimazione alle Molinette.

La vera tragedia è stata per i miei genitori e per mio marito perché sono loro ad aver vissuto davvero quel periodo, io non mi sono resa conto di nulla essendo in coma.

Io ricordo solo che appena sono entrata al pronto soccorso mi hanno messo un sondino e mi hanno fatto la TAC. Mentre ero ancora cosciente ho sentito i medici dire che avevo un cuore enorme. Il primario era fuori di sé, non capiva come avessero potuto rimandarmi a casa due volte.

So che non appena mi hanno messa in terapia intensiva ha cercato di capire se ci fosse qualcosa che i medici potevano fare, ma gli hanno risposto che non sapevano cosa avessi, che avevo un cuore enorme e una miocardite virale in atto. Pensavano di perdermi.

Hanno cercato di stabilizzarmi la pressione per portarmi alle Molinette, ma non sapevano in che reparto inserirmi perché non sapevano come mai il mio cuore fosse messo così male.

Subito sono stata in pronto soccorso alle Molinette per un paio di giorni, in rianimazione, ma non in cardiologia.

In quei giorni hanno interrogato mio marito, gli hanno chiesto se fossimo stati all’estero, se potessi aver contratto una forma virale, se avessi avuto delle malattie infettive… lo hanno ribaltato praticamente, hanno ribaltato sia lui sia me, ma nonostante questo non riuscivano a capire cosa avessi. 

Il destino però ha voluto che le cose per me andassero bene. Un collega di mia mamma che aveva avuto dei seri problemi al cuore aveva letto di me sul giornale e si è offerto di chiamare il cardiochirurgo delle Molinette per chiedergli se potesse visitarmi.

Questo medico mi ha fatta portare dalla rianimazione del reparto in cui mi trovavo alla rianimazione della cardiologia. Ha detto a mio marito che ero in condizioni disperate, che iniziavo ad avere problemi ai reni, al fegato e problemi polmonari perché gli organi non erano più irrorati dal sangue e quindi arrivava poco ossigeno. Ero in una situazione drammatica. Il medico ha detto che avrebbe tentato una soluzione che non era mai stata provata in questi casi: mi avrebbe collegata ad una macchina cuore-polmoni.

Sono rimasta attaccata a questa macchina per circa 48 ore e la diagnosi è stata buona perché ho avuto una ripresa. Sostanzialmente con l’ausilio di questo macchinario che sostituiva cuore e polmoni, il mio cuore ha potuto riposare. Ci sono stati dei segni molto positivi, al punto che ho ripreso a respirare in maniera autonoma e per questo hanno deciso di risvegliarmi.

Dopo 7 giorni mio marito è riuscito a vedermi in terapia intensiva. Ricordo che la prima cosa che ho pensato vedendolo entrare è stata che aveva comprato un’altra giacca di un verde orribile, invece era il camice. Aveva camice, copri-scarpe, cuffia e mascherina.

Io ero a letto sorretta da cinghie, praticamente ero una bambola di pezza, non riuscivo a stare in piedi. In più per via degli antidolorifici e dei medicinali avevo anche delle visioni. Insomma, la ripresa è stata impegnativa. Dicevo e facevo cose strane.

Passati un paio di giorni mi hanno rimessa in una stanza singola di cardiologia dove non ero più attaccata ai macchinari come prima.

Non hanno saputo dirmi esattamente cosa sia successo, questo virus come è venuto è anche passato. Mi hanno solo detto che questo virus dell’influenza invece di passare mi ha colpito in cuore.

Questa cosa è poi andata bene per circa 6 anni, dal 1999 al 2005. Io nel frattempo nel 2001 ho avuto mia figlia, L. L’ho avuta con parto cesareo solo perché lei non si è girata, ma altrimenti avrei potuto avere un parto naturale. È sempre andato tutto bene, non ho più avuto problemi fino a che nel 2005 ho preso un’altra influenza.

Io nel frattempo avevo chiesto se dovessi farmi delle vaccinazioni antinfluenzali, ma il virologo che mi seguiva alle Molinette mi aveva detto di no perché avendo già avuto una forma virale sarebbe stato meglio non inserire nel corpo cose che avrebbero magari potuto riscatenare il virus, perché non sapevano se fosse rimasto latente da qualche parte.

Nel 2005 però c’era in giro un’influenza particolarmente virulenta, ma mi avevano detto di stare tranquilla perché era praticamente impossibile che io riavessi una seconda volta una miocardite virale.

Comunque, ho preso questa influenza molto forte che mi aveva debilitata molto, ma io speravo non fosse niente di più di quel che sembrava essere. Poi però… un déjà-vu. Un incubo. Mi rendevo conto di non riuscire a riprendermi. Non riuscivo a camminare, a mangiare, a seguire mia figlia. Non riuscivo a fare le cose più elementari. Mi alzavo dal letto e mi dovevo sedere su una sedia perché non avevo le forze di arrivare al tavolo. Non avevo fame, ero afasica. La notte anche se mi coricavo su tre cuscini non riuscivo a respirare. Riconoscevo tutti i sintomi.

È stato terribile. Sono tornata al pronto soccorso e mi hanno nuovamente rimandata a casa.

Per me era davvero terribile perché io avevo gli stessi sintomi, li riconoscevo, ma non mi credevano. Mi hanno dato del cortisone, che però era pressoché inutile.

Una domenica il mio medico di base è venuto a visitarmi a casa e mi ha fatto un’impegnativa urgente, per cui ho potuto andare direttamente nel reparto di cardiologia. Il medico di turno ci ha chiesto come mai non ci avessero fatti andare in pronto soccorso, ma io gli dissi che non mi sarei mossa da lì fino a che non mi avesse fatto un ecocardiogramma, perché non avevo la forza di parlare, respirare o alzarmi.

Vedendo i risultati dell’ecocardiogramma il medico mi ha subito detto che avevo una miocardite in atto. A quel punto ha chiamato il primario, il dott. C., che mi ha visitata e mi ha confermato che avevo una miocardite virale fulminante, esattamente come 6 anni prima.

Mi hanno subito attaccata ad una flebo e ad alcune macchine, però non riuscivo proprio a respirare. Mi hanno tenuta tutta la notte fortunatamente, perché ho avuto un collasso importante, ma sono riusciti a risvegliarmi.

Il giorno dopo c’era posto alle Molinette, per cui mi hanno spostata in ambulanza tenendomi attaccata all’ossigeno.

La cosa positiva di tornare alle Molinette era che anche se stavo male ho potuto rivedere tutti i medici che conoscevo già, per cui mi è sembrato di tornare a casa, non avevo paura, perché la prima volta stavo per morire, ma loro sono riusciti a salvarmi, quindi ero sicura che qualsiasi cosa avrei dovuto affrontare sarei tornata a casa.

Io solitamente sono molto pessimista, ma in quella situazione mi sentivo positiva, probabilmente perché ero andata via da casa con le mie gambe, avevo salutato mia figlia e le avevo detto che sarei tornata guarita. In quel momento le ho promesso che sarei tornata, per cui la prima cosa che ho detto ai medici delle Molinette è stata che avevo una bambina di tre anni e mezzo e che quindi loro avrebbero dovuto farmi tornare a casa. Non ho chiesto per favore, gliel’ho proprio imposto.

Il virologo che mi seguiva mi ha chiesto se la cosa si fosse verificata sempre in seguito ad un’influenza, per cui un altro medico mi ha chiesto come mai non avessi fatto l’antinfluenzale, ma io facevo ciò che i medici mi dicevano, non prendevo iniziative.

Quindi mi hanno ricoverata e rimessa in terapia intensiva, ma questa volta non potevano attaccarmi nuovamente alla macchina cuore-polmoni, perché il cuore era troppo debilitato, per cui mi hanno subito inserita in emergenza nazionale per trovare un cuore. Non c’era alternativa ad un trapianto, perché il mio cuore era troppo provato.

Da quel momento è iniziata questa avventura che è durata circa 36 ore.

Io mi rendevo conto di essere molto grave perché ero oggetto di studio. Mi sentivo una cavia. Le Molinette sono una clinica universitaria, per cui c’erano tutti questi ragazzi tirocinanti che venivano ad osservarmi e ad osservare ciò che i medici mi facevano prendendo appunti.

Ad un certo punto non sono più riuscita a parlare, per cui facevo solo il gesto del pollice in su. Per questo motivo mi avevano battezzata Schumacher.

Rendermi conto di quanto grave fosse la situazione è stata una cosa davvero pesante.

Ricordo che nel viaggio in ambulanza per arrivare alle Molinette c’era la dottoressa A.T, una persona splendida, e un’infermiera che parlavano tra di loro. Io non riuscivo a parlare invece, perché avevo l’ossigeno e facevo veramente fatica. La cosa principale che facevo era concentrarmi per respirare perché non riuscivo più a farlo.

Prima pensavo a mia figlia, al tornare a casa per poterla rivedere, ho addirittura motivato io i medici, ma poi, non appena sono stata presa in carico dal reparto di rianimazione e terapia intensiva, l’unica cosa sulla quale mi concentravo era la respirazione. Cercavo di fare meno fatica possibile per il respiro successivo.

Ad un certo punto ho rivisto l’anestesista che avevo conosciuto sei anni prima. Era lei a seguirmi.

Io non mi rendevo conto del tempo che passava perché ero concentrata su me stessa e non pensavo ad altro se non a respirare, ma nel pomeriggio mi ha comunicato che avevano trovato un cuore e la sera avrebbero fatto l’intervento.

Io ero contenta, ero felice perché sapevo che sarei tornata a casa.

Gli interventi di trapianto li fanno sempre alla sera perché l’ospedale deve essere tranquillo, per cui alle 22.00 mi hanno portata in sala operatoria.

Ricordo che prima di entrare in sala ho prima pensato che non mi ero fatta dare l’estrema unzione, ma subito dopo ho scacciato questo pensiero e mi sono detta “che cacchio stai dicendo Maria, non esiste, non ne hai bisogno, ora vai lì e poi torni a casa”.

Una volta in sala operatoria ricordo solo che stavo sentendo radio 105 e poi ho chiuso gli occhi.

Quando li ho riaperti mi è sembrato di vedere un orologio che poteva segnare le 5 del mattino. Ho pensato di essere all’inferno. Avevo talmente male ovunque… la bocca secca, non c’era un punto del mio corpo che non mi facesse male. Ho pensato di esser morta e di essere all’inferno. Poi però ho visto gli infermieri che si prendevano cura di me, mi bagnavano le labbra e mi davano da bere.

Dopo circa quattro giorni ho iniziato piano piano a riprendermi, rispondevo e i parametri vitali andavano bene. Io però stavo male, avevo malissimo.

Mi hanno portata in una stanza da sola e io ricordo che chiedevo da bere perché avevo tanta sete e ero tanto stanca, tanto tanto stanca. Lì ho rivisto mio marito, mia mamma e mio papà.

Tutti mi dicevano che avevo un aspetto bellissimo.

Io avevo però i lividi fino a metà coscia, fino ai polsi e al collo. Ero blu, ero proprio blu. Ricordo di aver chiesto se avessi avuto un incidente, se fossi stata investita, perché non mi ricordavo cosa fosse successo.

Il secondo giorno i medici hanno detto che dovevo assolutamente alzarmi, per cui sono andata dal letto alla sedia a rotelle. A quel punto ho chiesto di portarmi in bagno davanti allo specchio. Mi sono vista e sembravo la figlia di Frankenstein. Ero orribile, avevo delle occhiaie fin qua, ero tutta blu. Mi volevano fare addirittura la foto, ma io mi sono categoricamente rifiutata. Ero orribile, orribile.

La cosa più bella di quando mi sono svegliata in terapia intensiva, in rianimazione, è stata il sentire il mio cuore battere… al di là del fatto che avessi male, che avessi pensato di esser morta perché avevo tanto male, sentire il mio cuore battere è stata la cosa più bella. Non appena go avuto un minimo di lucidità ho detto “sono viva perché il mio cuore batte”. Lo sentivo battere proprio nelle orecchie. Era impressionante perché sentivo questo rimbombo nelle orecchie e mi rendevo conto di esser viva. È stato come se fossi nata una seconda volta. Da quel momento è iniziata la mia seconda vita.

La signora che mi assisteva nelle notti è stata poi un angelo per me. Sembrava una nonnina, aveva questi capelli bianchi raccolti, ma aveva un’energia pazzesca e era di una dolcezza infinita. La sera veniva e mi ungeva tutta di Lasonil e passavamo la notte insieme.

In quei giorni avevo delle allucinazioni, ma è normale perché mi davano dei farmaci molto forti perché avevo tanto male.

Son stata credo dieci/undici giorni lì alle Molinette, perché non appena è stato possibile mi hanno spostata perché stare in ospedale era pericoloso per me per via dei molti microbi.

Veruno all’epoca era usato per le convalescenze dei trapianti di cuore e quindi sono andata lì.

Appena arrivata mi hanno messa in una stanza singola. Mio papà è stato con me le prime due notti, perché D., mio marito, doveva stare con la bambina.

Mio marito alle Molinette mi seguiva di giorno, stava il più possibile giù, e la sera tornava a casa perché c’era la bambina, che per fortuna ha subito i traumi minori, perché ha continuato ad andare all’asilo e al pomeriggio, quando usciva da scuola, andava o da un’amichetta o da un amichetto.  Le mamme dei suoi compagni la prendevano e la tenevano fino a che non arrivava mio marito e alle 20, 20.30 di sera andava a recuperarla.

Se mia figlia invece era già a casa, lo aspettava in cima alle scale e chiedeva della mamma, quindi lui doveva tornare a casa e darle notizie.

Mio marito penso che abbia passato il periodo peggiore della sua vita, perché ha rischiato di perdermi la prima volta, e poi ha dovuto rivivere tutto una seconda volta dovendo pensare anche alla bambina. È stato atroce per lui, anche perché non poteva tornare a casa e sfogarsi. Doveva fingere che andasse tutto bene per far coraggio e dare una normalità ad una bambina di tre anni e mezzo che chiedeva della mamma e che non ha potuto vedermi per un mese.

Io stata 21 giorni a Veruno e sono tornata a casa all’incirca dopo 31 giorni in tutto. È stata una ripresa veramente rapida.

Per me non è stata una passeggiata. La prima volta in realtà sì perché non mi sono resa conto di niente, ho vissuto tutto in modo totalmente incosciente, anche se ci ho messo 3 mesi prima di poter uscire di casa, perché ero veramente molto debilitata. Questa seconda volta, invece, essendo stata Ricordo che erano venuti a trovarmi due miei amici dopo una decina di giorni e non mi avevano trovata perché io ero dal parrucchiere. All’interno della clinica di Veruno c’era anche la possibilità di andare dal parrucchiere de io ero andata perché volevo avere una parvenza di normalità, volevo di nuovo essere io da subito.

Avevo però ancora male dappertutto, i lividi ci hanno messo due o tre mesi per andar via. Avevo così tanti lividi perché ho avuto un versamento per cui dopo l’intervento hanno dovuto riaprirmi. È stata un’urgenza un po’ travagliata, però trovare un cuore nel giro di 36 ore è stato un miracolo. Non posso dire altro se non che è stato un miracolo.

Sono tornata poi a casa dopo un mese, per Pasqua. Nel mentre mia mamma era stata ricoverata per una polmonite quindi sono tornata a casa prima io di lei.

Quindi sostanzialmente c’ero io a Veruno, mia mamma ricoverata a Biella, mia figlia che andava all’asilo… quindi c’erano mio marito e mio papà a casa da soli. Io penso che per loro sia stato un banco di prova importante, una cosa terribile.

Comunque da quando sono tornata a casa è stata tutta una ripresa. Mi alzavo dal divano, mi sedevo, preparavo i pranzi e le cene da seduta. Ci mettevo mezza giornata magari, ma è stato un recupero continuo. Facevo passeggiate, cyclette. Ho seguito tutte le terapie e tutto ciò che mi hanno detto. All’inizio prendevo 22 pastiglie al giorno. Dovevo tenere sempre la mascherina, l’ho tenuta per un anno e mezzo, non potevo mangiare cose crude quindi niente frutta, niente verdura se non cotta, nessun affettato crudo. Ricordo che gli affettati li prendevo confezionati perché non potevo rischiare che affettassero il prosciutto crudo e poi quello cotto, perché non dovevo rischiare di prendere nessun microbo, nessun batterio.

Io comunque non ho avuto nessun problema, mentre alcuni miei colleghi di trapianto hanno preso la toxoplasmosi, la mononucleosi… Un mio amico di Torino si è dovuto fare quasi 70 giorni all’Amedeo di Savoia perché come è arrivato a casa c’era il gatto che gli ha attaccato la toxoplasmosi. Io devo dire di aver avuto un buon decorso.

Ho fatto 16 biopsie, ne facevo una al mese, poi 2 o 3 non han dato risultati quindi ho dovuto ripeterle. Durante il periodo delle biopsie sono stata a casa dal lavoro perché non mi sentivo a livello psicologico di tornare, soprattutto le ultime biopsie sono state proprio impegnative perché le si fanno da svegli. All’inizio sei motivato, ma verso le ultime non ce la fai proprio più, hai paura perché inizi a star bene e hai paura ogni volta che le fai che ti danneggino il cuore e di tante altre cose, quindi a livello psicologico non mi sentivo di fare tutto e andare anche a lavorare.

Devo dire però che al lavoro sono stati comprensivissimi, mi hanno aspettata fino a quando hanno avuto la possibilità di riassumermi, come invalida perché ho un’invalidità, però ho avuto fortuna.

Io ho fatto tutto quello che i medici mi hanno detto di fare, non ho fatto sciocchezze.

L. era venuta a trovarmi a Veruno, però non potendo entrare all’interno della struttura ci eravamo trovati fuori nel parco, era marzo e c’era una bella giornata. Mi ricordo che era venuto con noi anche un mio amico, era nella stanza vicino alla mia e aveva fatto anche lui un trapianto di cuore alle Molinette 15 giorni prima di me, mi aveva dipinto la mascherina coi baffi del gatto e poi lui si era messo il naso quello dei clown, e ha fatto ridere L. Lei era proprio contenta di vedermi.

È stato un mese impegnativo anche per L.. Io sono tornata a casa a marzo e lei ha avuto dei problemi d’estate, perché tendeva a regredire, per cui abbiamo dovuto rimetterle in pannolino perché non voleva più fare i suoi bisogni, era tornata indietro. Nel momento in cui la situazione si è sbloccata lei probabilmente è crollata e ha avuto questa regressione, però mi han detto che era normale, infatti già per l’autunno/inverno si è ripresa, riassestata, ed è tornata all’asilo.

Mio marito invece è crollato in agosto. Non dico che ha avuto un esaurimento, ma quasi. Anche lui come ha visto che la situazione ha iniziato a migliorare si è rilassato, ma quando uno si rilassa poi crolla, infatti ha dovuto prendere anche un periodo di aspettativa perché era veramente esausto, mentalmente e fisicamente.

È stato un banco di prova, però l’abbiamo superato. Lo abbiamo superato perché abbiamo trovato dei medici molto bravi e perché mio marito mi stava vicino. Per me la motivazione è stata mia figlia, ma anche lui. Lui proprio mi ha sostituita senza problemi a casa e allo stesso tempo mi dava la forza di andare avanti. Lui e mio papà. Anche mio papà è stato eccezionale. Per essere un uomo di una volta che non sapeva far niente, si è trovato da solo e si è messo a guardar la bambina, a far da mangiare e ad andare avanti. Per cui sì, è stata dura, ma ne siamo venuti fuori.

Non bisogna mai smettere di esser positivi, mai.

Innanzitutto grazie, grazie mille per questo racconto molto emozionante… hai già toccato alla fine quasi tutti i temi che ci eravamo prefissate… hai fatto un racconto completissimo… io volevo solo chiederti ancora… il tuo legame con l’organo… hai magari cercato il donatore…

Mi hanno detto che non era possibile sapere chi fosse il mio donatore, però si sono verificate una serie di coincidenze particolari.   D., mio marito, mentre era Torino era ospite di una sua cugina che abitava vicino alla Gran Madre e aveva un’amica anestesista. Questa anestesista so che aveva fatto un espianto di organi a una signora che purtroppo aveva avuto un bimbo sei mesi prima, ma che purtroppo aveva avuto un ictus. Era una persona giovane, sportiva, sana, e quando il marito ha visto che non c’era possibilità di ritorno ha deciso di donare gli organi.

Per cui io sono venuta a sapere questa cosa, anche se non ho la certezza che sia lei la mia donatrice, in più non c’è né la possibilità di contattare né io ne ho alcuna intenzione di contattare la famiglia.

So che questa signora aveva già un bambino dell’età di L. e poi quest’altro bimbo di 6 mesi, per cui per quanto riguarda il mio legame con il mio cuore diciamo che la cosa che mi spiace di più è non poter veder questi ragazzi. Mi piacerebbe vederli, senza dire niente, solo vedere che crescano bene, che stiano bene.

E nei confronti del tuo donatore invece che sentimenti provi?

Una riconoscenza infinita, sia nei confronti di questa persona che purtroppo è stata sfortunata, sia nei confronti della sua famiglia, perché un uomo, un papà, che perde improvvisamente la mamma del suo bambino, dei suoi bambini, e decide di donare i suoi organi…

per me è una riconoscenza infinita, non posso dire altro.

Al tempo stesso non voglio invadere niente nel modo più assoluto, anche se ho avuto questo appiglio e penso che potrebbe essere questa persona io non voglio invadere la loro privacy, so che loro non sanno a chi sono andati gli organi per cui…

A me è venuta in mente una domanda… volevo chiedere se dal 2005 ad adesso, che siamo nel 2021, se poi è andata sempre bene? Nel senso che c’è stata la ripresa, poi non hai più avuto…

È stata veramente sempre una ripresa. Devo dire che io non ho avuto problemi particolari. Gli unici problemi li ho avuto all’inizio, durante queste 16 biopsie. Le biopsie sono sempre andate bene e il risultato è stato quasi sempre negativo.

Le biopsie si fanno per vedere se c’è un rischio di rigetto o se c’è un rigetto in corso. Dopo qualche mese sono dovuta andare a Torino a fare le flebo di cortisone perché c’era questo rigetto, ma i medici non capivano il motivo. A un certo punto uno dei medici che mi visitava mensilmente mi ha chiesto se stessi prendendo al posto della ciclosporina un farmaco generico. Effettivamente da un po’ avevo iniziato a non prendere più quello con il principio attivo perché le gocce avevano un sapore veramente disgustoso. Ci dicevano di prenderle con il latte, sul pane, ma in qualunque modo uno le assuma fanno veramente schifo, provocano il vomito, sono terribili, e allora avevo trovato un farmaco generico della ciclosporina in gocce che era insapore e per me era fantastico… peccato che c’era un motivo per cui fossero insapore. Praticamente questo farmaco generico non mi assicurava l’assorbimento della ciclosporina necessario ad evitare un rigetto. Infatti il mio era un rigetto farmacologico.

Quando sono tornata ad assumere la ciclosporina con il principio attivo ho smesso di avere problemi di rigetto e da lì non ho più avuto altri problemi.

Adesso devo dire che problemi cardiaci non ne ho e non ho mai avuti se non un po’ di aritmia in due occasioni. Una volta perché ero molto affaticata e quindi ho avuto un picco di battiti, mentre la seconda volta mi è capitato perché ho assistito direttamente ad un incidente, una donna è stata investita dalla macchina davanti alla mia e questa cosa mi ha provocato un tale spavento che mi è partito il battito e non sono riuscita a fermarlo, tant’è vero che io e questa signora che è stata investita siamo state portate tutte e due all’ospedale e hanno guardato prima me di lei e poi è uscita prima lei.

Devo dire che non ho più avuto problemi particolari da allora.

La cosa che mi dà fastidio è dover stare inattiva adesso che non posso andare a lavoro perché fino a che non faccio il vaccino devo stare molto attenta, più delle altre persone.

Mi hanno detto che aver avuto due volte una miocardite virale è stato veramente notevole. È come stato come fare 2 o 3 volte 13 al totocalcio, o vincere al gratta e vinci 500.000 euro per due volte, però sono qua, la racconto e va bene. Io mi ritengo fortunata.

Non mi sono mai sentita sfortunata. Poi la mia vita è migliorata dopo, perché paradossalmente svolgevo un lavoro in cui potevo stare poco con la mia famiglia, e questa cosa mi pesava moltissimo… non poter vedere mia figlia, non poterle stare vicino, per me era una angoscia, allora pregavo che capitasse qualcosa per cui la mia vita potesse cambiare. E sì è capitato qualcosa… sono sopravvissuta e la mia vita è cambiata in meglio. Adesso lavoro part-time e non più a tempo pieno, il sabato e le domeniche non lavoro, quindi è andata bene e ne sono venuta fuori e con una vita anche migliorata, per cui non mi lamento, nel modo più assoluto.

Quello che non ho mai fatto è stato piangersi addosso, per me è una cosa orribile. Non rientra nel mio carattere piangersi addosso. C’è anche da dire che io non ho vissuto quello che vivono le persone che hanno delle miocardiopatie dilatative e si vedono spegnere giorno per giorno e che sicuramente sono psicologicamente provate in modo diverso.

La mia vita è cambiata nel giro di due giorni, però tutto sommato è cambiata in meglio, sono viva e al di là del fatto che devo assumere medicinali, ora prendo circa 8/10 pastiglie al giorno, la mia vita è normale e io sto bene.

La gente deve capire che bisogna donare.

Diciamo che questa cosa del carattere era emersa molto secondo me anche durante gli incontri di gruppo… che è una cosa bella trovo… ti si vede che non ti piangi addosso per niente nonostante tutto quello che hai passato comunque…

Ma no perché tanto non serve, non serve a niente. E poi la gente comunque si stufa di te se ti lamenti sempre e ti ritrovi isolata perché è chiaro che nessuno ti vuole frequentare. Già sono periodi brutti, in più sei noioso… no non ha senso.

Però io non giudico gli altri, perché ognuno ha i suoi trascorsi, per cui ci sono persone che hanno sofferto ma molto più di me… io praticamente ne son venuta fuori nel giro di due giorni.

Io volevo chiederti… ti sei resa conto subito di quello che era successo o hai preso coscienza più avanti? Proprio quando ti sei svegliata… il fatto di metabolizzare tutta l’esperienza… c’è stata una presa di coscienza man mano che miglioravi oppure da subito?

Da subito. A parte il male terribile quando mi sono svegliata, è stato il sentire il battito del cuore nelle orecchie. Sentivo il battito e in più respiravo, quindi già quello per me positivo, perché ero viva, ero viva e già il fatto di essere viva, respirare bastava.

Una persona non può immaginare quanto sia importante sentirsi respirare, sentire il cuore battere. Quando invece non respiri più e non hai più la forza neanche di stare seduto allora te ne rendi conto.

Io mi sono resa conto praticamente da subito che le cose andavano bene, che pian pianino potevo migliorare e che, anche se stavo male, se mi faceva male tutto, il cuore lo sentivo. In più sentivo di essere in buone mani.

Per me il fatto di conoscere già quell’ambiente è stato molto positivo. Secondo me a livello psicologico il fatto di andare in un posto dove ci sono persone che già conosci, che sai essere preparate e che ti hanno già mandata a casa una volta è stato basilare perché mi fidavo di loro.

Un’ultima domanda che mi è venuta in mente… io stavo ragionando adesso anche sul ruolo della famiglia che ha avuto nel tuo caso… molto importante il supporto che ti hanno dato… credi che sarebbe stato diciamo tanto diverso se magari nel 2005 non avessi avuto tua figlia di 3 anni e mezzo e tuo marito che è stato così bravo e tutta la tua famiglia che è riuscita a supportarti molto bene?

Mia figlia è stata basilare. Rispetto alla prima volta mi sono ripresa molto più in fretta. Dopo due mesi io uscivo di casa, mentre la prima volta mi sono adagiata e ci ho messo tre mesi ad uscire dal mio appartamento e scendere le scale. Invece la seconda volta dovevo stare bene per mia figlia, quindi questo mi ha molto motivata.

Anche mio marito è stato basilare. Mio marito, mio papà, mia mamma. Però in particolar modo gli uomini della mia vita… Infatti il fatto che mio papà ad ottobre è mancato a causa del covid per me è stata una tragedia, anche se era già due anni che mentalmente non c’era più.

Gli uomini della mia vita sono stati importantissimi, perché con mia mamma avevo un rapporto un po’ più conflittuale. Loro sono stati fondamentali. Mio papà veniva a fare le notti in ospedale già la prima volta, perché mia mamma ha un altro carattere e non se la sentiva né a livello fisico che psicologico. Mio papà si è fatto forza invece ed è venuto.

Una persona dopo che subisce un trapianto secondo me, o qualunque intervento, se ha un appoggio famigliare ha un recupero sia psicologico che fisico molto più veloce. Secondo me è importante.

Sì… assolutamente… è molto bello vedere quanto le persone sappiano darci proprio una motivazione in più, poi in questo caso tua figlia diciamo che era una motivazione bella forte, è molto bello…
A questo punto direi che per noi siamo a posto… sei stata chiarissima e hai toccato tutti i punti che ci eravamo un po’ prefissate… quindi grazie, davvero…

Grazie a voi che mi avete dato la possibilità di parlarne, spero che possa essere utile qualche stralcio, qualcosa, per motivare le persone a non essere egoistiche o egocentriche, a non aver paura. Mi rendo conto purtroppo che quando manca un famigliare sia anche difficile acconsentire alla donazione, però spero che nel mio piccolo possa esservi utile.

Certo, come diciamo sempre questo momento che cerchiamo di darvi è prima di tutto un momento per voi, per raccontarvi… e poi anche per riuscire in quello che hai appena detto tu… Grazie per la tua disponibilità e per esserti aperta così con noi… grazie davvero… tu come ti senti adesso che abbiamo parlato?

Io bene, sollevata, leggera. Mi ha fatto bene, mi ha fatto molto bene. Per me non è mai stato un tabù parlarne anche perché l’ho vissuta in maniera positiva. Sono emozionata però, perché ho rivissuto delle emozioni e dei momenti difficili e belli, però sto bene, grazie.

Bene… ne siamo contente… ora ci salutiamo allora, grazie, grazie ancora davvero… a presto.