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Io ritengo che la mia storia possa essere abbastanza monotona, noiosa rispetto a quello che hanno vissuto gli altri signori del gruppo, perché io sinceramente tutto quello che hanno passato loro non l’ho passato, perciò quando sento loro mi ritengo fortunatissima, perché io non ho sofferto come hanno sofferto loro, io ero così prima e sono così adesso, la differenza tra prima e dopo il trapianto non l’ho vista se non fosse per quei 5 o 6 mesi di trattamento.

Noi ti chiederemmo di raccontarci nel modo che ti è più congeniale e che ritieni più giusto di raccontarci la tua storia, proprio dal momento in cui sei venuta a sapere della malattia e di dover arrivare ad un trapianto… quindi la fase del trapianto e poi ciò che è successo dopo. In sostanza la tua esperienza. Noi non ti interromperemo e poi solo alla fine ti faremo, forse, qualche domanda.

La mia malattia non è stata una scoperta perché purtroppo è una malattia genetica tramandata da mia mamma e prima da mio nonno, infatti in famiglia siamo in tanti ad avere questo problema, perciò sapevo già a cosa sarei dovuta arrivare.

Una cosa inaspettata, però, è stata l’età a cui ho effettuato il trapianto, perché mi aspettavo che avrei dovuto affrontare l’operazione più avanti. Invece i medici hanno preferito intervenire subito e non aspettare. Ecco, questa cosa mi ha spiazzato. Ha spiazzato me e soprattutto la mia famiglia, perché io fino a quel momento non avevo mai avuto nessun disturbo se non i valori degli esami del sangue sballati.

Quando sono arrivata a casa e ho detto che mi avrebbero inserita in lista d’attesa non ci ha creduto nessun perché io comunque stavo bene, non stavo male e non avevo particolari problemi, ma è proprio per questo che i medici hanno deciso di anticipare il trapianto, perché se io avessi avuto qualche problema legato all’età forse avrei poi avuto più difficoltà al trapianto.

I medici hanno insistito tanto su questo. Avevo detto già all’inizio che la mia famiglia era rimasta molto titubante, pensavano che i medici stessero attuando un accanimento terapeutico nei miei confronti. Io però, se devo essere sincera, non li ho proprio ascoltati, mi sono detta “come va va, mi metto in gioco”. Ho preso questa decisione perché vedevo mia mamma fare dialisi e questa cosa era un peso e io non volevo diventare un peso come lo era lei e poi perché in ogni caso sarebbe stata quella la strada che avrei dovuto percorrere.

Mi sono detta “Perché no? Proviamo, magari mi va bene, poi magari mi va male, ma intanto posso dire che ci ho provato”. 

L’unico inconveniente che è stata la mole di esami che ho dovuto fare. Q quella è stata la croce più grossa: mettersi lì e fare tutti gli esami che servivano per il trapianto. Mi hanno rivoltata come un calzino, hanno controllato proprio tutto. Mi hanno fatto esami semplici, esami bruttissimi, però erano da fare e li ho fatti.

Alla fine di tutti gli esami la mia creatinina, però, continuava ad alzarsi pur facendo una cura aproteica e bevendo tanta acqua.  Le abbiamo provate davvero tutte, ma la dottoressa mi disse che non c’erano alternative e avrei dovuto iniziare la dialisi. Quella era davvero una cosa che non volevo affrontare, non volevo fare la dialisi come la faceva mia mamma. Lei faceva l’emodialisi, per cui decisi di fare la dialisi peritoneale. Avevo più o meno un’infarinatura di come funzionava, pensavo che facendo quella avrei avuto più libertà, più tempo per me, perché volevo condurre la vita che continuavo a condurre, tipo andare a lavorare, avere la giornata per i miei figli, per la mia nipotina. Non volevo essere legata 3 giorni alla settimana a fare la dialisi, perché una volta uscita dall’ospedale avrei dovuto passare l’altra mezza giornata nel letto per riprendermi. Quindi per questi motivi ho deciso di provare a fare la peritoneale.

Devo essere sincera, ho avuto dottori e infermiere che mi hanno sostenuta, mi sono state tanto, tanto dietro, mi hanno seguita benissimo, infatti ho notato la differenza quando sono andata a Novara. Quando ho fatto il trapianto avevo una signora di fianco a me, che doveva iniziare a fare anche lei la dialisi peritoneale, ma non le avevo spiegato niente. Io le ho detto di non preoccuparsi, che non avrebbe avuto dolore, che era solo una questione di organizzazione, che doveva prendersi i suoi spazi, perché poi l’igiene era fondamentale, in più lei viveva da sola quindi non avrebbe avuto problemi. Era solo una questione di organizzazione. Io la sera preparavo già il tutto, preparavo già la macchina, poi prima di andare a dormire mi collegavo e poi mi scollegavo la mattina, facevo le mie cose e potevo riprendere la mia vita normalmente.

Prima di iniziare, in ospedale mi hanno seguita tantissimo. Ho fatto delle prove con loro per 4 o 5 giorni, e poi hanno ritenuto che potessi andare a casa e continuare da sola. Se c’erano difficoltà, anche in piena notte, io telefonavo e c’era sempre qualcuno che mi rispondeva, mi spiegava passo-passo come poter fare ripartire la macchina. Sotto quell’aspetto mi sono trovata benissimo.

Poi una sera sono venuti i carabinieri a casa mia in piena notte, perché avevo il telefono in silenzioso, perciò gli ospedali mi chiamavano, ma io non rispondevo. Alle 3 del mattino mi vedo i carabinieri dietro la porta, cioè io non potevo andare perché ero attaccata alla macchina, ma il mio primo pensiero è stato per mia figlia, perché era al mare, perciò quando mi hanno detto “siamo i carabinieri” il mio primo pensiero è stato “è successo qualcosa ai ragazzi”, quando mi hanno risposto di no ho pensato allora che fosse successo qualcosa a mia madre, invece mi hanno detto che cercavano me perché stava arrivando in ospedale un rene per me. A quel punto ho contattato l’ospedale, che mi ha convocata per la mattina seguente.

La mattina seguente quindi mi sono presentata a Biella, mi hanno detto che ero una riserva, ma nonostante questo ho fatto la TAC e tutto quello che serviva. Quando ho saputo di essere una riserva ho pensato che sarebbe stata una giornata persa. Io quindi ero tranquilla, convinta che la sera sarei tornata a casa, fino a quando il Dott. Berto disse a me e mio marito di non andare a casa, ma di andare a Novara e aspettare lì. Così sono stata tutta una mattinata e tutto un pomeriggio lì, in attesa. Ricordo che dicevo a mio marito di avere una fame bestia e che avevo proprio voglia di un panino al salame. Pensavamo ancora che la sera saremmo tornati a casa e che il rene non sarebbe andato a me, invece poi venne la dottoressa che mi disse che ero stata fortunata e di prepararmi, perché quel rene sarebbe stato mio.

Io mi aspettavo di tornarmene a casa la sera, avevo anche avvisato mia figlia e le avevo detto di non tornare dalle vacanze, perché tanto non mi avrebbero operata. Invece mi hanno portata di sotto. Io ero talmente impreparata che non avevo neanche pensato a eventuali domande da fare ai medici, è stato tutto molto veloce. L’unica cosa che mi è venuta in mente di dire ai medici è stata “sentite un po’, vedete come sono entrata? Così devo uscire, mi raccomando, fate bene il vostro lavoro perché come sono entrata devo uscire perché ho promesso a mia nipote che l’avrei portata a Disneyland, perciò sappiatevi regolare.”

Poi c’è stato l’intervento. Quando mi sono svegliata e mi sono vista con tutti i tubi mi sono chiesta che cavolo avessi combinato, perché io non mi aspettavo tutti i tubi che avevo. Avevo tubi ovunque, forse mi mancavano solo nel naso e nelle orecchie. Anche in quel caso sono comunque stata molto fortunata perché il rene ha reagito subito e i dottori erano contenti e meravigliati perché ho avuto la stessa reazione che solitamente si ottiene quando si riceve un rene da un donatore vivente.

Io ho poi fatto 15 giorni in ospedale, anzi il sabato e la domenica ho anche potuto tornare a casa per poi rientrare il lunedì da quanto stavo bene.

Poi c’è stato tutto il dopo. Io non ho avuto tempo di pensare all’intervento, di pensare a me, perché io ho sempre pensato agli altri, anche quando mi chiamarono per l’intervento, nel senso che mio marito era appena uscito dall’ospedale per una colica renale, per cui lui non stava bene, e mia mamma era ricoverata in ospedale per un’infezione, quindi anche lei non stava bene, per cui i miei pensieri andavano a mia mamma e mio marito e mi chiedevo chi si sarebbe preso cura di loro se io fossi stata in ospedale. 

Mi ricordo che quella mattina, quando mi chiamarono, andai a Biella per fare gli esami e la dottoressa A. mi chiese se fossi contenta di andare a fare il trapianto e io le risposi che in realtà ero più preoccupata per mio marito e mia mamma. A quel punto lei prese e mi disse, così senza mezzi termini, che mia mamma la sua vita se l’era fatta e tanto io non potevo farci niente, poi mi chiese dove fosse mio marito, che era fuori ad aspettarmi. Lei è uscita e gli ha detto che era grande e grosso e non doveva rompere le scatole, poteva curarsi da solo, di non fare storie e di prendermi e portarmi in ospedale.

Nonostante questo, quando ero in ospedale ho discusso con i medici dell’ospedale di Torino dov’era ricoverata mia mamma perché volevo sapere le sue condizioni perché ero l’unica che poteva occuparsi di lei, perché io ho un fratello, ma vive in America perciò tutto ricadeva sulle mie spalle. Per cui, anche in quel momento, invece di pensare a me cercavo di capire come poter sistemare mia mamma. Ai parenti dicevo di non venire a trovare me, ma di andare dalla nonna perché ne aveva più bisogno, quindi il mio pensiero è sempre stato rivolto a lei, non ho mai avuto tempo di pensare a me, a come potevo stare.

Mia mamma poi è mancata poco dopo che è finito tutto e mio marito ha cominciato a stare meglio. A quel punto, quando ero a casa e avevo tempo per pensare, mi sono resa conto che non era stato facile, perché forse avrei voluto essere coccolata ed amata, e invece non ho avuto neanche questa opportunità, questo tipo di fortuna. Da una parte meno male, meno male perché sono sempre stata bene, ma non mi sono neanche concessa il lusso di “fare la malata”, essere coccolata, perché ho sempre pensato agli altri.

Allora innanzitutto grazie per questo racconto perché non è stato né banale, ne corto, anzi… ti ho ascoltata con molto interesse. Mi viene da dire che la tua storia non è banale perché non è che per forza ci deve essere tutta questa sofferenza. Secondo me tu hai vissuto tutta una serie di cose che invece tanti non hanno vissuto… mi ha colpito tanto quando hai raccontato all’inizio che ti hanno proposto di fare il trapianto, ma non stavi male, non ti sentivi male e quindi c’era tutto il fatto della tua famiglia e delle altre persone che ti chiedevano perché dovessi fare tutta questa cosa… e questa secondo me è una questione che non è per niente banale e scontata, nel senso che penso, e sono abbastanza sicura, che tu non sia l’unica, che ci sono magari altre persone nella tua stessa situazione… è stato un bel racconto, volevo solo dire che mi ha colpita questa parte qua perché è una questione che non abbiamo sentito da nessun altro, quindi immagino che non sia stato facile… e volevo chiederti, adesso che mi è venuto in mente, a parte questo discorso che ti ho fatto, per quanto riguarda l’organo che hai ricevuto, che rapporto hai con il tuo rene e con il tuo donatore? Nel senso… ci pensi? Che sentimenti provi a riguardo?

Me lo coccolo, me lo accarezzo e me lo coccolo, questo sì. Lo sento, quando metto la mano io lo sento l’organo, perché ce l’ho qua, qua davanti, ho questo avvallamento, perciò io lo sento e perciò io lo accarezzo e me lo coccolo. È una cosa preziosa e le cose preziose vanno tenute bene e vanno anche coccolate a mio avviso.

Io volevo ringraziarti e soprattutto ribadire che io non credo che sia una storia banale o che non possa aggiungere qualcosa a quello che hanno detto gli altri, perché io davvero ti ho ascoltato con molto molto interesse… e se non ci sono state le sofferenze a livello fisico,  non vuol dire che non ci siano stati degli altri ostacoli, come appunto potrebbe essere stato quello della tua famiglia… quello che a me viene da chiederti è, proprio per il fatto che è stato tutto molto molto veloce e non hai neanche avuto troppo il tempo di metabolizzare, proprio per la velocità con cui si è verificato il tutto e il fatto che come hai detto ti sei sempre preoccupata più per gli altri che per te stessa, quand’è che sei riuscita a realizzare e a metabolizzare ciò che hai vissuto? Ti ricordi il momento in cui ti sei resa conto di aver superato un’esperienza simile?

Ma sai che non penso di averla ancora superata questo tipo di esperienza, perché è vero che io ho fatto il trapianto, ma non ho finito, perché adesso c’è un altro problema legato al fatto che io ho ancora i miei vecchi reni e, per via della mia malattia, stanno continuando a crescere. Infatti la scorsa settimana mi hanno accennato che avrebbero intenzione di togliermene uno per fare più spazio, perché continuando a crescere potrebbero portarmi ad avere problemi intestinali. Io sapevo già che probabilmente avrei dovuto affrontare anche questo, ma ho sempre tenuto le dita incrociate sperando di evitarlo. Invece la dottoressa mi ha detto che i miei reni continuano a crescere, perciò non è finita la mia esperienza, perché forse c’è ancora questo lato che forse dev’essere il più brutto che non il trapianto. Io infatti cerco di non pensarci, però è un problema che c’è e purtroppo prima o poi lo dovrò affrontare. Spero nel miglior modo possibile.

Io dico che devo trovare il lato ironico di ogni cosa che mi succede e quindi devo riuscire a trovare il lato ironico anche di questo, perché se lo trovo faccio tutto con semplicità.

Certo, è una questione molto recente… rispetto ad altri che magari sono stati trapiantati 15 anni fa la tua è una storia completamente diversa quindi non è facile, ma sono sicura che riuscirai a trovare il lato ironico per come sei fatta tu, sono sicura… un’altra cosa che mi è venuta in mente, mi ricordo quando all’incontro di gruppo… se ne vuoi parlare ovviamente, sei libera di non farlo… del cinturino di pizzo che avevi messo nel periodo in cui hai fatto la dialisi peritoneale… volevo chiederti questo aspetto qua, anche il fatto che sei stata tu a consigliare e a supportare anche quell’altra donna che doveva affrontare la tua stessa cosa… ecco volevo chiederti di nuovo di questo episodio, cosa ti ricordi…

Allora sì, effettuare la dialisi perinatale non è facile in un rapporto di coppia, tant’è che quando ho detto ai medici che volevo fare quella al posto dell’emodialisi loro mi hanno chiesto come avrei fatto a rapportarmi a mio marito con un tubicino che mi esce dalla pancia. Io sinceramente ricordo di aver risposto che a me non interessava perché era un problema mio e non di mio marito. Tutte le volte che poi facevo la visita la dottoressa mi chiedeva se mi fossi fatta vedere da lui, ma io non l’ho mai fatto anche se lei diceva che avrei dovuto. Però effettivamente io sono giovane, presentarsi così in un rapporto di coppia avrebbe magari potuto “impressionarlo”, anche perché ci sono tanti fattori che possono incidere sul rapporto. Però dopo tanti anni che stiamo insieme alla fine è amore anche questo, per cui io devo anche ringraziarlo, perché mi è stato vicino e non si è mai fatto impressionare.

Io mi ero fatta fare una cinturina di pizzo dopo che l’infermiera I. me l’aveva consigliato. Era una cosa più civettuola, una cosa mia. Piuttosto che avere quel filo di garza che mi avvolgeva la pancia avevo questo cinturino di pizzo, lo mettevo sotto le mutandine e poi non si vedeva niente se non la strisciolina di pizzo. Ho fatto questo anche perché a lavoro mi dovevo spogliare davanti ai miei colleghi e non volevo che magari qualcuno mi chiedesse, non avevo voglia di stare lì a spiegare il perché e il per come.

Alla signora in ospedale quindi avevo anche fatto vedere questo e ricordo che lei aveva fatto delle foto per farselo fare da sua sorella, visto che fa la sarta. Una ragazza addirittura se li era fatti fare di tutti i colori e in base ai vestiti indossati se li cambiava. Io non ho fatto in tempo perché ho iniziato a febbraio e a luglio avevo già fatto il trapianto. Pensavo già più a una cosa per l’estate, perché magari avrei messo qualcosa di un po’ più trasparente e quindi in base a quello che avrei messo avrei cambiato il cinturino. Magari potrebbe sembrare una stupidaggine, però per me era una cosa molto importante ecco.

Grazie… non è una cosa stupida, penso che siano quelle piccole, che poi piccole non sono, accorgenze che magari dal lato medico non si rendono conto, però soprattutto per noi donne secondo me sono cose importanti invece, che non vanno sottovalutate… quindi è una bella idea secondo me, anche per altre che devono affrontare la tua stessa cosa…

Io infatti io ce l’ho, mi sono detta “questo non lo butto”. Ho buttato tante di quelle cose, ma questo non lo butto perché mi aiuta a ricordare. Lo tengo proprio per non dimenticare. In generale ci sono ricordi belli e ricordi brutti, questo fa parte dei ricordi brutti, però è giusto che ci sia.

Io bene o male non ho altre grandi domande in realtà… sono molto affascinata dalla tua storia e da te anche in realtà, ti ascolto davvero con grande interesse perché emani anche il giusto modo di vivere le cose… un po’ con il tuo “ci provo”, che hai ripetuto anche prima quando hai deciso di metterti in gioco e poi anche questo fatto dell’ironia… ti ascolto davvero molto molto volentieri… mi è venuta in mente una cosa che forse è una domanda stupida, non lo so… però tu sapevi già che saresti dovuta arrivare poi al trapianto o alla dialisi, e mi chiedevo… com’è convivere con questo pensiero? Già sapendo che dovrai appunto arrivare lì… com’è il convivere con questa idea? È un qualcosa che condiziona la tua vita o qualcosa con cui si riesce a convivere?

No, non riesci a conviverci. La mia speranza era che magari avrebbero trovato un farmaco che avrebbe risolto il problema, speravo che con il tempo avrebbero trovato una cura che mi avrebbe permesso di non arrivare alla dialisi, invece… sicuramente staranno studiando, non penso che si fermino alla dialisi, per cui sicuramente staranno studiando dei farmaci che possano sostituirla, più che altro me lo auguro anche per tutti quelli che verranno dopo.

Se io avessi saputo di avere questa malattia, magari avrei potuto fare le gravidanze programmate e avrei potuto magari scegliere gli embrioni e selezionare quelli sani facendo finire lì la mia malattia, senza trasmetterla ai miei figli. Fortunatamente loro fino ad adesso non hanno niente, però è una di quelle malattie che si sviluppa con il tempo. Io ho anche una nipotina, quindi penso a lei. Quando mi dicono che i mi figli non mi assomigliano io ne sono contenta, perché non mi devono assomigliare in niente perché somigliarmi significa anche prendere una parte di me che non vorrei dare a nessuno.

Farei una domanda conclusiva… mi viene da chiederti dopo aver sentito il tuo racconto se c’è qualcosa che ti verrebbe da dire a persone che magari devono affrontare quello che hai affrontato tu, che magari sono nella situazione che magari hanno una famiglia… perché tu hai già visto tutti i tuoi famigliari, quindi magari la dialisi non l’hai vissuta per tanto tempo su di te, ma l’hai vista bene… e quindi volevo chiederti se ti veniva in mente qualcosa da dire a persone che magari sono nella tua stessa situazione…

Di non avere paura. Non bisogna avere paura, perché finché c’è una soluzione non bisogna avere paura, bisogna affrontarlo. Io penso che sia quando una soluzione non c’è che bisogna rimanere a pensare, ma fino a che c’è le cose bisogna farle, affrontarle senza paura. 

Grazie… è un po’ un “ci provo” anche qua… alla fine il tuo motto ritorna un po’ sempre, quindi… grazie…
Io sono anche soddisfatta così… tu Antonietta come ti senti? Ti ha fatto piacere questo momento?

Io mi sono divertita!

Bene, ti senti bene quindi anche dopo aver parlato e raccontato?

Sì, sì sì. Io ne parlo con naturalezza anche con i miei colleghi che magari mi chiedono. Loro sono molto titubanti, ma poi mi conoscono… sanno che io ho l’aspetto da persona cattiva, che chi mi vede la prima volta si spaventa e dice “mamma mia questa che tipa che è”, ma che poi alla fine quando mi si conosce non sono per niente così. Io sono molto diretta, non te le mando a dire, ma quando loro mi chiedono com’è stato vivere tutto questo io la racconto divertendo.

Vi devo raccontare anche questa… a me l’anestesia fa un brutto effetto, nel senso che quando esco dall’anestesia dico un sacco di parolacce. Quando mia figlia venne dal mare c’era l’infermiera che mi stava preparando, e mia figlia, sapendo che ho questo problema, disse “poverino mio papà questa sera quando mia mamma uscirà dalla sala operatoria, sicuramente lo insulterà per bene”. Infatti, quando sono uscita dalla sala operatoria e mio marito mi ha chiesto come mi sentissi l’ho mandato a quel paese, perché come avrei dovuto sentirmi?, allora lui a quel punto ha capito che stavo bene. 

Hai ragione, io sono d’accordo… sulle domande così un po’ tra virgolette stupide reagisco come te, quindi ti capisco, reagisco così anche senza anestesia… poi ovviamente la tua era una situazione particolare, però comunque ti capisco!
Bene, io ti ringrazio ancora tanto… e non so, se ti viene poi in mente qualcos’altro, qualche altro aneddoto, qualche altro episodio che vuoi raccontarci noi siamo sempre a disposizione e ti ascoltiamo volentieri, quindi siamo qua…

Ma io penso di non aver dimenticato niente, appunto sono queste cose qui. Come ho detto, quando poi mi chiedono come sono andate le cose io le racconto facendo divertire le persone, perché poi alla fine non mi sono mai messa lì a piangere su me stessa.

Un altro episodio che mi è venuto in mente è che dopo avermi operata c’erano due ragazzi giovani di turno come infermieri e ricordo di aver detto loro che se volevano passare una notte tranquilla avrebbero dovuto darmi qualcosa per farmi dormire, altrimenti avrei rotto le scatole per tutta la notte. Così loro mi hanno dato una pastiglia per dormire e sia io che loro abbiamo passato una notte tranquilla e siamo andati d’amore e d’accordo. Io poi mi sono fatta così le prime due o tre notti, perché se riesco a dormire riesco anche ad affrontare le cose con forza, se riesco a riposare poi sto bene.

Allora noi Antonietta direi che ti ringraziamo ancora tanto, se ti fa piacere rimaniamo in contatto e ti possiamo mandare la trascrizione e ci vedremo nei prossimi appuntamenti anche con gli altri… grazie ancora davvero… speriamo sia stato un bel momento anche per te, una bella occasione.

Sì, un’occasione nuova.

Questo ci fa piacere… allora ti lasciamo tranquilla, grazie per la fiducia anche che ci hai dato in questa intervista… se ci dovesse essere qualcosa rimaniamo in contatto… grazie ancora.