Mi chiamo Maurizio Roasio ho sessantasei anni e poiché quest’anno ricorre il settecentesimo anniversario della morte di Dante, di cui sono appassionato, voglio parlare del Sommo poeta, e della sua opera, della selva oscura e del mio trapianto.

Direte, ma che cosa c’entra Dante con il trapianto? C’entra perché l’opera di Dante, la “Commedia”, è talmente universale che il suo significato allegorico, si può adattare a molte situazioni che riguardano aspetti della nostra vita. Tornando a noi quello che possiamo cogliere è che se la malattia renale è l’Inferno, la morte dell’anima; al contrario il trapianto è la rinascita del corpo fisico, “e quindi uscimmo a riveder le stelle” con il trapianto si torna a rivedere la luce dopo un periodo oscuro.

Nel mezzo del cammin di nostra vita mi ritrovai per una selva oscura, ché la diritta via era smarrita.

Dante dopo la morte di Beatrice era prima entrato in depressione, poi aveva smarrito la retta via, aveva cioè intrapreso una vita dissoluta, “un reale periodo di traviamento della sua vita” come dice nel suo commento Annamaria Chiavacci Leonardi.

Io invece entrai nella “selva oscura” quando mi venne diagnosticata la malattia: “l’insufficienza renale”.

Quando succede non capisci bene come e perché è successo, sta di fatto che da alcuni mesi mi sentivo sempre molto stanco, avevo perso il senso del gusto di conseguenza stavo diventando inappetente; il mio medico mi prescrisse un esame del sangue e il responso fu: creatinina a livelli stratosferici, tanto che quando il medico li vide non voleva nemmeno che andassi a casa ma che mi recassi direttamente al pronto soccorso. Fui quindi ricoverato per una ventina di giorni nel reparto nefrologico dell’Ospedale di Biella, diagnosi: insufficienza renale cronica.

Entrai in dialisi nell’aprile del 2010. Quindi da quell’aprile la mia vita cambiò radicalmente, anche se rispetto ad altri sono stato un tantino più fortunato, perché nella maggior parte dei casi si tratta di sottoporsi a tre sedute settimanali, per me invece tre ore di terapia e un solo giorno alla settimana. Tutto sommato una cosa difficile da metabolizzare ma non così tragica. In ogni modo la dialisi ti sconvolge la vita, soprattutto perché la tua libertà viene in parecchio limitata ed in particolare la tua libertà di movimento, io ero abituato a viaggiare, per cui fine dei giochi, fine dei viaggi.

Unico spiraglio di uscita il trapianto.

Io del trapianto non sapevo nulla poiché non mi ero mai posto il problema, anzi a dire il vero ero anche un po’ refrattario all’idea. Il trapianto però non è mai dietro l’angolo occorre iscriversi alla lista attiva e per farlo bisogna sottoporsi a parecchi esami, dopo di che si entra nella così detta “lista attiva” e poi bisogna aspettare un organo compatibile che può arrivare in qualsiasi momento, quindi devi essere sempre reperibile e tenere le valigie pronte.

Io però avevo una grossa fortuna, avevo la mia Beatrice, la mia grazia operante, colei che veniva per trarmi dalla “selva oscura”. I. mia moglie si offrì immediatamente di donarmi il suo rene e lo fece con grande convinzione ancor prima di ascoltare le possibili conseguenze a cui avrebbe potuto andare incontro. La sua determinazione era assoluta e sicuramente anche maggiore della mia, che come ho già detto qualche dubbio ce l’avevo, sia per eventuali conseguenze su di me, sia soprattutto per quelle su di lei.

Allor fu la paura un poco queta, che nel lago del cor m’era durata la notte ch’i’ passai con tanta pieta.

Il trapianto comunque ti apre uno spiraglio ed è l’unica strada per tornare ad una vita normale è la sola prospettiva che ti libera dall’angoscia di passare il resto della tua vita nella schiavitù della dialisi, il trapianto ti può riportare ad una vita normale, puoi tornare a fare le cose che hai sempre fatto, ti ridà insomma la piena mobilità. Solo che a volte il cammino è tortuoso, e lungo il cammino trovi spesso degli ostacoli, che come le tre “fiere” della Commedia sbarravano la via al poeta e cercavano di ricacciarlo nell’oscurità.

Ed ecco, quasi al cominciar de l’erta, una lonza leggiera e presta molto, che di pel macolato era coverta; e non mi si partia dinanzi al volto, anzi ’mpediva tanto il mio cammino, ch’i’ fui per ritornar più volte vòlto.

Per Dante la “lonza” rappresenta la lussuria, uno dei peccati in cui era appunto caduto. Nel mio caso ad impedirmi il cammino, che rischiava di bloccare la strada verso il trapianto, fu il ritrovamento di alcune cellule tumorali alla prostata, beninteso nulla di grave o di drammatico, nulla di incurabile anzi senza la prospettiva del trapianto sarebbe bastata la cura farmacologica, invece nel mio caso e nell’eventualità del trapianto era necessario rimuoverle al più presto.

Così arrivammo al 2012 e fui ricoverato per l’intervento all’Ospedale di Novara, reparto urologia, chirurgo il professor C. T., oggi primario al San Martino di Genova. L’intervento si risolse per il meglio, salvo una crisi respiratoria con relativo fastidioso CPAP (casco per l’ossigeno). Comunque tutto risolto, convalescenza tutto bene, guarigione totale nessuna nuova cellula tumorale. Ma….

Temp’era dal principio del mattino, e ’l sol montava ’n sù con quelle stelle ch’eran con lui quando l’amor divino mosse di prima quelle cose belle; sì ch’a bene sperar m’era cagione di quella fiera a la gaetta pelle l’ora del tempo e la dolce stagione; ma non sì che paura non mi desse la vista che m’apparve d’un leone. Questi parea che contra me venisse con la test’alta e con rabbiosa fame, sì che parea che l’aere ne tremesse.

Nella “Commedia” il Leone rappresentava la superbia. Dopo la lonza, ecco apparire il Leone: maestoso, con la test’alta; minaccioso, con la rabbiosa fame, tanto che per il timore tutta l’aria intorno sembrava tremare. Superato il primo ostacolo mentre si riapriva la speranza, ecco per me appunto il nuovo impedimento, un nuovo ostacolo: l’aneurisma all’aorta addominale, problema che avevo mentalmente rimosso, ma c’era, lo avevano riscontrato durante il primo ricovero del 2009, non era ancora di dimensioni preoccupanti e non era neppure cresciuto molto in teoria sarebbe bastato tenerlo sotto controllo ma era necessario intervenire, perché dopo il trapianto non sarebbe più stato possibile, quindi nonostante avessi accantonato l’idea di questa operazione ora diventava inevitabile. La prospettiva di questo intervento mi creava una grande angoscia se non terrore.

Eravamo nell’agosto 2014 ero andato in pensione da tre mesi ed ecco l’intervento per la riduzione dell’aneurisma, presso l’Ospedale di Biella nel reparto di Chirurgia Vascolare, chirurgo la meravigliosa dottoressa C.P.

Anche questo intervento, nonostante un mio pessimismo quasi cosmico si concluse positivamente, nonostante il solito non troppo desiderato CPAP, per la solita e poco gradita insufficienza respiratoria.

Ed una lupa, che di tutte brame sembiava carca ne la sua magrezza, e molte genti fé già viver grame, questa mi porse tanto di gravezza con la paura ch’uscia di sua vista,ch’io perdei la speranza de l’altezza. E qual è quei che volentieri acquista, e giugne ’l tempo che perder lo face, che ’n tutti i suoi pensier piange e s’attrista, tal mi fece la bestia sanza pace, che venendomi ’ncontro a poco a poco mi ripigneva là dove ’l sol tace.

La Lupa rappresenta l’avarizia la cupidigia, secondo le interpretazioni l’ostacolo più terribile, più difficile da superare. La belva più feroce. A me la Lupa si manifestò nel 2017. In quel periodo in cui tutto pareva essersi fermato, tornò ad aprirsi uno spiraglio, le cose tornarono a mettersi in moto, mi vennero fatte visite urologiche con esito positivo e relativo benestare al trapianto da parte dell’urologo, quindi si poteva procedere. A quel punto anche I., la mia donatrice con cui avevo un’altissima compatibilità, venne sottoposta a nuovi esami.

Così arrivammo intorno al Natale 2017, fummo convocati dal Dottor Berto: brutte notizie: “La lupa”, l’ostacolo più difficile; dalle risultanze della TAC renale era risultato che I. aveva una piccola malformazione vascolare, “la vena cava doppia” a lei non avrebbe mai costituito un problema e non le avrebbe mai creato fastidi, ma per il trapianto all’epoca era un impedimento insormontabile. Forse sarebbe potuto essere possibile in seguito, chi lo poteva sapere, l’unica speranza era nell’evoluzione delle tecniche chirurgiche. Ecco ciò che mi toglieva la speranza dell’altezza e mi respingeva la dove il sol tace, ovvero nella selva oscura, nella dialisi.

A questo punto restava solo la “lista attiva” ovvero entrare nella lista per trapianti da cadavere ma la strada si prospettava lunga, bisognava tornare a fare tutto l’iter per l’iscrizione alla lista, esami colloqui e via dicendo.

Mentre ch’i’ rovinava in basso loco, dinanzi agli occhi mi si fu offerto chi per lungo silenzio parea fioco.

Così arrivammo all’estate del 2018, i valori stavano rapidamente peggiorando, ci convocò il dottor Berto, le notizie non erano buone, due dialisi settimanali, non bastavano più, bisognava passare a tre. Poiché eravamo vicino alle vacanze decidemmo di rimandare il tutto al rientro ovvero a metà di settembre. Mentre stavamo parlando il dottor Berto ricevette una telefonata dal Centro trapianti di Novara, non era attinente al mio caso, però il dottor Berto e dall’altra parte del telefono la dottoressa C. che già ci conosceva, cominciarono a riparlare del mio caso, così le cose ricominciarono lentamente a mettersi in moto. Il mio caso fu nuovamente sottoposto a valutazione e sottoponendo la problematica ai chirurghi vascolari, nel caso specifico la dottoressa C.P. che nel frattempo si era trasferita a Novara. Restammo quindi in attesa ma le cose sembravano evolversi al meglio.

Ad agosto però la mia vicenda subì una decisa accelerazione. Io e I. eravamo in vacanza al mare ed un pomeriggio, mentre stavamo rientrando dalla spiaggia, squillò il cellulare, e poiché era un numero sconosciuto stavo quasi per non rispondere pensando ad una delle solite telefonate commerciali. Comunque risposi: era il Centro Trapianti di Novara, che mi chiamava per verificare la nostra eventuale disponibilità ad un colloquio, per riprendere tutto l’iter verso il trapianto, stabilimmo di trovarci al nostro rientro verso la metà di settembre.

Alla metà settembre andammo al colloquio con il primario professor V.C. e i medici del centro trapianti, quindi il tutto ricominciava, mia moglie venne ricoverata in novembre al Centro Trapianti di Novara per rifare velocemente tutti gli esami di routine. A novembre l’esito degli esami fu positivo e quindi toccava a me. Il 27 dicembre entrai anch’io al Centro Trapianti per i controlli.

Anche per me l’esito degli esami fu positivo, quindi si decise di programmare il trapianto a febbraio o marzo del 2019, non mi sembrava neppure vero, alla fine poi optammo per marzo.

Il 10 marzo io e I. entrammo in ospedale per la preparazione e per me anche per le ultime due dialisi. Tra l’altro io le dialisi le avevo sempre sopportate bene senza mai un benché minimo problema, ma nell’ultima dialisi il 12 marzo, sarà un segno del destino ma ebbi un forte abbassamento di pressione, al limite dello svenimento. Comunque si avvicinava l’epilogo: il 13 marzo di primo mattino I. venne avviata alla sala operatoria e qualche ora più tardi vi fui avviato anch’io.

Entrai il sala operatoria. Mi risvegliai verso sera in terapia intensiva, ma tutto era andato bene, I. stava bene e il rene sembrava funzionare.

Lo duca e io per quel cammino ascoso intrammo a ritornar nel chiaro mondo; e sanza cura aver d’alcun riposo, salimmo sù, el primo e io secondo, tanto ch’i’ vidi de le cose belle che porta ’l ciel, per un pertugio tondo. E quindi uscimmo a riveder le stelle.

Così anche per me e per I., la mia Beatrice, il mio spirito operante, finì il periodo infernale, la nostra selva oscura, e anche noi tornammo riveder le stelle.