Mi avete chiesto di scrivere dei pensieri e di raccontarmi un po’.

Scrivere la mia storia… non ho mai pensato di farlo, ma comunque ci provo.

Fondamentalmente sono una persona socievole, ma allo stesso tempo, anche un po’ riservata per tutto ciò che riguarda la mia persona; in genere mi piace molto ascoltare, ascoltare gli altri, ma il parlare troppo di me a volte mi riesce un po’ più difficile, forse una forma di pudore, forse timidezza, ma il più delle volte è quasi un non voler essere invadente, né tanto meno noiosa.

Innanzitutto, credo sia giusto che io mi presenti: mi chiamo Marisa Catto, ho 66 anni, risiedo a Cossato, sono felicemente sposata, ho una figlia che adoro, anche se lontana, e sono trapiantata di fegato da ormai 9 anni.

Ad oggi, essendo ormai una persona “anziana” secondo il comune pensare, posso dire di aver avuto comunque una vita vissuta quasi sempre in maniera positiva, nonostante tutti gli ostacoli che ho ritrovato lungo il mio percorso, come, credo, tutti noi del resto.

La vita ci pone spesso di fronte a degli imprevisti che possono veramente sconvolgere tutti i nostri progetti e, la malattia prima e il trapianto successivamente, sono stati eventi che hanno letteralmente scombussolato la mia quotidianità e quella della mia famiglia.

L’inizio del nuovo millennio atteso da tutti con frenesia, irrompe invece nella nostra vita con durezza.

Sono sempre stata in salute, non ho mai avuto alcun disturbo particolare, analisi poche, pochissime. Da qualche mese una debolezza sempre più presente e sempre più significativa mi piega. Mi piega al punto che devo decidere di andare dal mio medico; analisi basiche di routine: valore emoglobina 6. Il mio medico, un amico, mi chiede come faccio a reggermi in piedi e mi ordina immediatamente ulteriori accertamenti. Ad una settimana di distanza valore emoglobina sempre basso e transaminasi un po’ mosse.

Seguono ulteriori accertamenti fatti d’urgenza presso un centro privato di Biella, dove, all’epoca, la titolare era una mia amica, la dottoressa C.G. Il pomeriggio stesso mi porta di persona gli esiti: epatite C positiva e valori emoglobina 4.8.

Mi consiglia un suo professore di Università, il Prof. R., primario della gastroenterologia delle Molinette, epatologo di fama internazionale.

Mi ricovera ipotizzando una forma di leucemia, fermo restando l’esistenza dell’epatite. 7 giorni di iniezioni di ferro e analisi di tutti i tipi. Non è leucemia, ma propende per la celiachia. Test negativi. Insiste e dopo biopsia ed esame DNA, diagnostica che la pesante anemia è causata dal morbo celiaco. E non sbaglia.

Percorso impervio anche questo, un mondo nuovo. Associazione celiachia: spiegazione di questa nuova realtà, una malattia per me, ma ancora per molti, sconosciuta. Unica terapia: dieta assolutamente priva di glutine addirittura a livello maniacale. Mi spaventano e mi dicono che il glutine per il malato celiaco è tossico anche per nano particelle. I miei villi intestinali sono quasi a zero (causa della celiachia), se inizio subito possono riformarsi, altrimenti le conseguenze saranno gravissime, linfomi tumori…

Resta l’epatite C, che lui conosce molto bene. Biopsia al fegato e diagnosi: danno al fegato già importante, questo significa che il virus è già presente come minimo da più di vent’anni (non per niente la definiscono “silenziosa”).

Esiste una terapia per l’epatite, che però ha una percentuale molto bassa di efficacia e non la giudica idonea per me, perché molto invalidante anche perché sono fortemente anemica e questa è la prima controindicazione a questo tipo di cura. È subito molto esplicito, mi dà ancora una decina d’anni di tempo, prima che io possa avere dei segni di scompenso, ma la cirrosi sarà inevitabile e così pure il trapianto. Naturalmente non ci fermiamo qui, sentiamo altri pareri, ma tutti sono concordi a confermare la prima diagnosi.

Inizia così un periodo strano, difficile, un misto di smarrimento, incredulità, ho momenti in cui sono demoralizzata, mi informo e più ne so, più mi preoccupa l’immagine di un futuro più o meno prossimo, diverso dal mio modo di vivere, dal mio essere sempre pronta, attiva, presente, per i miei cari, per il mio lavoro. Sono cresciuta in una famiglia che mi ha dato tanto amore, ma anche insegnato ad essere una persona onesta, responsabile ed inculcato un forte senso del dovere, per cui anche il pensiero di dovermi assentare dal lavoro, lasciare gli impegni assunti, creare difficoltà agli altri, è motivo di grande ansia, mi toglie il sonno.

La mia famiglia mi supporta moltissimo, mi infondono speranza, cercano anche loro di farmi avere notizie positive in merito a questa malattia ad un possibile trapianto… lentamente però mi rendo conto che devo accettare questa realtà e, il vantaggio di stare comunque ancora bene mi dà conforto e mi fa reggere il colpo. La dieta è un’ottima soluzione per la mia emoglobina, per contro andare a fare la spesa diventa un’impresa, 3 ore al supermercato con mio marito e un trattato di 300 pagine da consultare con l’elenco dei prodotti senza glutine, perdo molti chili, perché il glutine è dappertutto e per parecchi mesi diventa un incubo.

Lentamente devo accettare questa realtà; non ho disturbi, a parte la debolezza data anche dall’anemia che però lentamente con la dieta si riduce.

Passano così parecchi anni anche quasi di apparente normalità, ma che includono inesorabilmente momenti di cedimento, tristezza, ansia, preoccupazione.

Nel frattempo la malattia di mio padre peggiora e purtroppo ci lascia. È per me una perdita molto dolorosa.

Nel 2002, dopo 17 anni di convivenza, M., ed io ci sposiamo.

Nel 2005 mio marito M., ahimè si ammala gravemente: linfoma Non Hodging al 4° stadio, molto aggressivo. Ci casca il mondo addosso! Panico, sgomento, incredulità, angoscia… un anno di terapie, sofferenza, difficoltà di ogni genere da affrontare ogni giorno… sono prove che lasciano un segno. Ma questo ci unisce ancora di più.

2006: remissione della malattia.  Felicità!

2008: mamma, altra perdita, grande dolore: le ho sempre nascosto tutto, non sapeva nulla, perché dipendeva moltissimo da me.

2009: iniziano i primi sagnali di scompenso del fegato, inizio di cirrosi epatica.

Ottobre 2010: entro in lista; crisi fisica forte

Da gennaio 2011 al 29 maggio 2011: cirrosi epatica ormai allo stadio finale: complicazioni sempre più complesse, interventi endoscopici continui, 3 o 4 giorni alla settimana in semintensiva, 2 – 3 giorni a casa e poi dovevo tornare a Torino, solo loro riescono a darmi un minimo di sollievo.

È una malattia veramente cattiva, e invalidante.

Sono esausta, non riesco a mangiare, non dormo più, le gambe mi reggono a malapena, le mani tremano, la mia mente è confusa a tratti…

Ho coscienza di una sofferenza che è ormai diffusa in tutto il mio corpo, continua… ormai posso definirla come uno stato del mio essere.

Capisco che tutti si sforzano di essere propositivi, ottimisti, cercano di farmi sorridere, mi sento amata, tanto!

Ed io cerco di mascherare i miei disturbi per tutto quello che posso, ma ciò che vedo sotto a questo velo non è la realtà, vedo mio marito provato, quasi incredulo di vedermi peggiorare ogni giorno di più, vedo i miei fratelli attoniti, quasi senza parole, sento mia figlia, telefonicamente in continuazione, percepisco dal tono della sua voce i mille pensieri che la tormentano, la sua angoscia di essere lontana e di sentirsi impotente; spesso prende un aereo e arriva di sorpresa spaventata, ansiosa di vedere, di toccare con mano.

Il dolore, quando è così presente, ti debilita nel tuo intimo, muta e ti trasforma; inaspettatamente hai la sensazione di essere un’altra cosa, di essere come in una bolla, vedi ciò che ti circonda, senza più farne parte, sai che potresti dissolverti e non esserci più.

È così che mi sento in questi giorni…

L’unico spiraglio, davvero l’unica speranza, è questo dono che mi dicono essere sempre più vicino… questione di giorni. Ci credo, ci credo con tutta me stessa.

Prego, prego tanto, prego il Signore di darmi la forza per poter superare questa prova, perché la mia famiglia se lo merita, perché non ho paura per me, ma non riesco più a sopportare di essere la fonte di tante preoccupazioni, dispiacere, sconforto e tristezza.

Mi sono totalmente ritrovata nella figura di Martina, la bimba della fiaba “Un cuore per sempre”.

Proprio perché questi sono stati i miei sentimenti e i miei pensieri più ricorrenti in quel periodo.

Finalmente un sabato pomeriggio, in uno di quei momenti di poca lucidità, entrano in camera due medici per dirmi che molto probabilmente c’è un fegato in arrivo… per me.

Dopo un attimo di faticoso riordino del pensiero, inizio ad ipotizzare come comunicarlo a mio marito, a mia figlia. Ultimamente, sempre più spesso, sono dedita a progettare nel silenzio e nel caos della mia testa discorsi ipotetici, che poi il più delle volte non sono in grado di ripetere.

Ma questa volta ci riesco, non è un concetto troppo elaborato, è la vita, il mio futuro.

Telefono: un urlo di gioia, un grido di liberazione, un’esplosione di emozioni, lacrime!! Tante!!

Purtroppo anche molta ansia per mia figlia che non riesce a trovare un volo che arrivi in tempo per salutarmi prima dell’intervento. Sono io adesso che la devo tranquillizzare, tanto sono certa che ci rivedremo subito dopo, adesso lo sono veramente. Non ho più dubbi, non ho paura.

Sento che ce la farò!

Mentre resto sola per circa un’ora penso a quante volte ho tentato di immaginare questo momento… ma la realtà supera ogni fantasia.

La nostra gioia è però talmente indescrivibile che contrasta con forza con un altro pensiero che corre inevitabilmente all’altra famiglia, la famiglia del mio donatore, per loro è un giorno di grande dolore.

Questo paragone può essere crudele nella sua oggettività, ma assume un valore immenso se si riesce a leggerlo meditando sul concetto di amore che questo gesto racchiude nel suo significato più intrinseco: un essere umano che ci lascia ma non completamente, perché con la sua scelta dona ad un suo simile la possibilità di riprendersi la vita che, a causa di una malattia grave ed invalidante, gli sta sfuggendo.

Un tumulto di emozioni, difficili da controllare in ore frenetiche che precedono il tanto atteso intervento.

Difficili anche da raccontare… devo andare con ordine, perché come ho già detto la mia felicità si scontra con la presumibile disperazione di un’altra famiglia.

Ultime ore in camera con una attività incessante, prelievi, preparazione, doccia… una doccia che ricorderò sempre, con la tintura di iodio anche sui capelli e su tutto il corpo, risciacquo quasi freddo, sensazioni fisiche che smorzano le altre sensazioni mentali, che sono fortissime e che creano una confusione e uno sfinimento. Nonostante queste fibrillazioni si siano impadronite di noi, riesco ad addormentarmi di fronte a M. stupito ed incredulo: la debolezza ha avuto il sopravvento.

Alle 4 del mattino inizia un percorso attraverso lunghi corridoi, con luci fioche, con M. sempre accanto, sempre più agitato ed emozionato, poi una porta, poi un’altra più grande, poi un saluto quasi silenzioso, un sorriso dolcissimo: in un minuto vedo nei suoi occhi lucidi tutta la nostra vita. Mi dice “stai tranquilla, quando ti risveglierai ci sarà anche V., ti aspettiamo!” Si chiude un’ultima porta e vedo il suo viso, che rimane dietro ad un oblò, diventare sempre più piccolo, sempre più lontano, fino alla fine dell’ultimo corridoio prima della sala operatoria: un freddo terribile mi pervade, la temperatura è bassissima, tremo veramente tanto, non riesco neppure a stare ferma. Mi ricordo di essere come in croce: le braccia larghe tese, qualche parola di rassicurazione, qualche sorriso e poi il nulla.

14 ore di intervento, ma quando apro gli occhi ne sono passate più di 24.

  1. e M. sono lì, sorridenti, felici. E vederli ancora mi pare un sogno; a dire il vero mi sento un po’ strana, come immersa in uno spazio ovattato, le voci sono molto lontane, ma realizzo subito che ce l’ho fatta, il mio cuore ha retto, quei fenomeni dei miei medici sono stati di parola e mi hanno riportata alla vita: gliene sarò eternamente grata.

Avrò un percorso ancora lungo e impervio, con qualche ulteriore imprevisto, ma alla fine di questo viaggio infinito sarò una persona più sicura, più consapevole e non smetterò mai di dire che questa esperienza, nella sua drammaticità, è stata più che positiva, è stata illuminante!

Il periodo che riguarda il recupero fisico è stato lungo e impegnativo quasi quanto quello precedente, perché le sensazioni di impedimento, in rianimazione prima, di dolore fisico dopo, in reparto, sono ancora molto marcate, la debolezza, il monitoraggio continuo, la vicinanza con persone che vivono la tua stessa esperienza, ma in maniera diversa, sono influenze che ti creano momenti di ansia di incertezza. Il non riuscire a riposare mi fa passare le notti a pensare… penso moltissimo al mio donatore, alla sua famiglia, non potrò mai dimenticare che sono ancora qui solo ed esclusivamente perché qualcuno lo ha permesso, grazie alla sua generosità. Io non potrò mai ricambiare questo grande dono, neppure con delle semplici parole, perché purtroppo non so a chi indirizzarle: questo resterà il mio rammarico.

Sento la necessità di fare in fretta a riprendermi, ho voglia di tornare alla normalità, ma devo imparare a non correre, perché l’impazienza mi punisce e mi fa perdere terreno… ci vuole il suo tempo.

Il rientro a casa è un momento di euforia, ma allo stesso tempo percepisco che le mura dell’ospedale erano più sicure per la mia condizione, purtroppo ancora precaria e instabile, ho paura di essere ancora troppo di peso ai miei familiari e alterno momenti di gioia ad altri di suscettibilità e debolezza non solo fisica, ma anche psicologica.

Tornerò come prima? Riusciranno gli altri a sopportare ancora questa situazione? Mi rendo conto che anche per loro è stata una prova faticosa, molto impegnativa! E credo fermamente che questo sia un aspetto assolutamente da non sottovalutare in situazioni così dolorose.

Poi lentamente i primi miglioramenti davvero tangibili sono quelli che mi danno più sicurezza, più consapevolezza del fatto che la strada non è più solo in salita, ma ci sono tratti in discesa sempre più frequenti e di lì inizia giorno dopo giorno la vera rinascita, il corpo e i miei muscoli riprendono forma e forza, desidero rendermi presentabile, uscire, vedere le persone, lavorare e il desiderio di essere di nuovo viva è fortissimo!

E Voglio rivedere il mare, sì il mare… ho dimenticato di dire che il mio sogno nascosto era di riuscire a tornare al mare, sulla nostra barca, che ormai da tanto tempo giaceva abbandonata in un cantiere “per colpa mia”.

E le fotografie che ho su questa barca rappresentano l’immagine della mia rinascita e anche quella della mia famiglia, Artù compreso che è stato il nostro compagno di viaggio per 15 anni, 40 chili di labrador, meraviglioso, dolce e infinitamente presente, sempre: la sua presenza è stata un grande stimolo per tutti noi, perché era totalmente dipendente da noi e questo anche nei momenti più travagliati, può sembrare un controsenso, ma è stato di grande aiuto.

Ringraziamenti

Un grazie dal profondo del mio cuore alla persona che non ho mai conosciuto, ma che vivrà sempre con me e in me fino alla fine dei miei giorni: la ricordo nelle mie preghiere, le parlo spesso ed a volte la immagino.

Un grazie dal profondo del mio cuore a tutti i medici e al personale infermieristico che mi hanno aiutata e supportata in tutti i sensi e sotto tutti gli aspetti in questo lunghissimo e complicato percorso, grazie perché mi hanno sempre fatta sentire “a casa”!

E un grazie particolare alla mia famiglia, per avermi sopportata, per avermi infuso sicurezza, serenità anche nei momenti più critici, per avermi amata, amore senza il quale tutto sarebbe stato più difficile, se non impossibile.

E un ultimo grazie anche a chi non ha vissuto con me questi eventi, ai miei genitori e ai miei nonni, perché i valori che mi hanno trasmesso e i principi con i quali mi hanno cresciuta, sono stati fondamentali, perché mi hanno fatto affrontare con coraggio e senso di responsabilità questa insuperabile prova di vita.

Per terminare un grazie anche a voi, per avermi ascoltata con pazienza, perché credo di essermi effettivamente dilungata un po’ troppo, ma l’intenzione era quella di raccontare nel dettaglio, perché è nei dettagli che forse a volte si può cogliere qualcosa di nuovo o di diverso, utile ai fini di questo lavoro che voi, come Associazione, portate avanti con tanta professionalità e dedizione.