Come può cambiare la vita di una persona nel giro di 48 ore?

Oltretutto cambiare in meglio, poiché, pillole a parte, la qualità della mia vita dopo il trapianto è migliorata.

Apprezzo ogni singolo istante, non spreco più neppure un attimo della mia giornata. Non che io sia diventata iperattiva, ma, nel limite del possibile, cerco di fare le cose che mi piacciono e soprattutto cerco di farmi piacere ogni cosa che faccio. Non sempre si ha una seconda possibilità. Non rimando più: vedere un amico, trascorrere del tempo con mia figlia o con le persone che mi sono care. Non posticipo. Non rinvio. Non potrei avere tempo, chi lo sa quale sarà il futuro… Ma soprattutto, se questa cosa che mi è successa non mi è piombata addosso per caso, allora ho il dovere di fare qualcosa per farlo comprendere anche agli altri.

Come il COVID: nessuno può capire quanto sia importante respirare finché ha fiato da vendere. Ma quando l’aria non arriva più allora improvvisamente respirare si trasforma da un atto spontaneo nell’atto più importante della propria vita. Una presa di coscienza di quanto si sia vulnerabili.

E questo è esattamente quello che è accaduto a me in quelle 48 ore d’attesa per ricevere un cuore nuovo.

La mia vita scorreva tranquilla: una mamma come tante, una figlia di quasi 4 anni ed un marito splendido.

Uno splendido papà e tutto questo non dato per scontato, ma costruito giorno dopo giorno, però lì, come se non dovesse cambiare mai, siccome non c’era apparente motivo perché questa vita cambiasse.

Poi improvvisa un’influenza, e, come 6 anni prima, passati i sintomi influenzali, la febbre, il dolore alle ossa, ecco che arrivano i collassi, la spossatezza, l’inappetenza, ma, soprattutto la mancanza di fiato, il ritorno della fame d’aria.

Sì, ritorno, poiché erano tutti sintomi già sperimentati 6 anni prima quando, sempre dopo una forma influenzale, mi era stata diagnosticata una miocardite virale e mi ero salvata solo grazie ad una tecnica mai sperimentata prima in un caso di miocardite virale. Mi era stato applicato un macchinario cuore/polmone che ha permesso di mettere a riposo i miei organi e di sostituire le loro funzioni. Una volta curato il mio cuore ha ripreso a funzionare autonomamente ed io mi sono ripresa dopo 7 giorni di coma farmacologico senza danni collaterali.

Per questo motivo riconosco i sintomi. Mi era stato detto che non sarebbe accaduto mai più, che era impossibile avere 2 miocarditi virali eppure… forse il virus che aveva bloccato il cuore 6 anni prima era rimasto latente e si era risvegliato sempre a causa di una forma influenzale.

Prima del 1999 io non avevo mai avuto problemi cardiaci, conducevo una vita sana, lunghe passeggiate in montagna, non fumavo né assumevo altre sostanze.

Questa volta però non è più possibile ricorrere all’apparecchiatura cuore/polmone: il mio cuore è decisamente più provato rispetto alla prima miocardite e si ritiene necessario ricorrere ad un trapianto, mettendomi in emergenza nazionale.

Ai miei parenti in attesa nella sala d’aspetto viene data la terribile notizia. Non c’è tempo e pregare può davvero essere d’aiuto.

Per quanto riguarda me, scopro in me stessa una forza che non sapevo di possedere: innanzitutto motivo tutti quelli che mi stanno intorno, medici, infermieri, anestesisti.

Ho un vantaggio: molti li conosco.

In quel reparto delle Molinette ero stata già sei anni prima.

La differenza questa volta è che devo tornare assolutamente a casa, per mia figlia che ho salutato e le ho promesso che sarei stata via per un po’, ma poi sarei tornata, guarita, e avremmo giocato ancora insieme.

Resisto, voglio sapere tutto quello che i medici che mi stanno attorno mi stanno facendo, anche perché sono sveglia e voglio partecipare anche se non attivamente anche io. Li voglio motivare: io non accetto passivamente io ci sono, voglio guarire.

Poi quando il respirare si fa sempre più difficile, mi concentro solo su quel semplice atto e non penso ad altro.

E aspetto: neanche per un secondo ho mai pensato che non ce l’avrei fatta che non sarei tornata a casa.

Mentre i miei soffrivano, erano angosciati e pregavano perché quella telefonata arrivasse, io ero certa che sarei tornata a casa e che avrei ripreso la mia vita come e meglio di prima.

Sinceramente non so da dove mi venisse questa forza… non dalla disperazione, non sono capace di compiangermi. Sicuramente nutrivo una grandissima fiducia in quei medici che già una volta mi avevano salvata da una situazione disperata, ma la volontà di rivedere mia figlia, di abbracciarla ancora è stata la motivazione decisiva per me.

Poi il miracolo: c’era un cuore, mi avrebbero operata e sarei tornata alla vita, sarei nata una seconda volta.

Quando mi sveglio il dolore è terribile: credo che non ci fosse un solo centimetro del mio corpo che non mi facesse male… ma il dolore mi dice che sono VIVA. Ho superato l’intervento un intervento che di solito viene effettuato dopo attenti esami, controlli e preparazioni io l’ho superato nel giro di 48 ore. Il tempo per i controlli non c’era, si poteva solo giocare il tutto per tutto ed io sono viva. Ma cosa più importante di tutte io RESPIRO.

Dopo un mese circa di degenze tra ospedale e convalescenza fatta a Veruno, torno a casa.

Allo psicologo che mi vede a Veruno prima delle dimissioni, dico che sono motivata: la mia motivazione maggiore si chiama L. ed ha 3 anni e mezzo.

Non c’è giorno che io non ringrazi la persona che mi ha donato il suo cuore.

O che non pensi al chirurgo, agli anestesisti agli infermieri che mi hanno operata.

Ricordo le loro cuffiette colorate.

Ricordo la musica che sentivano in sala operatoria

Ma soprattutto ricordo a me stessa, nei giorni difficili, che ho avuto una seconda possibilità e che tutti dovremmo poter avere una seconda possibilità nella vita.